TAR Lombardia, Brescia, 17 dicembre 2014, n. 1418

Dottorato di ricerca-Criteri erogazione borsa di studio-Giurisdizione giudice ammnistrativo

Data Documento: 2014-12-17
Area: Giurisprudenza
Massima

In materia di aiuti economici allo studio universitario accordati dalla p.a., fra i quali all’evidenza rientra la borsa di studio, è ben noto il criterio generale di riparto: ricorre un diritto soggettivo, la cui tutela spetta all’A.G.O. allorquando l’aiuto è riconosciuto in via diretta dalla legge e alla p.a. spetta soltanto il controllo in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti indicati dalla legge stessa ; ricorre invece un interesse legittimo, la cui tutela spetta al Giudice amministrativo, se la legge attribuisce alla p.a. il potere di accordare l’aiuto stesso, previa valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti e previo apprezzamento discrezionale in ordine alla concessione, nonché all’entità e alle modalità di sua erogazione (ex multis, Cassazione, Sezione Unite,  20 febbraio 2007 n° 3848).
 
In tema di erogazione della borsa di dottorato, sussiste la giurisdizione del Giudice amministrativo essendo in questione il corretto esercizio di un potere autoritativo di valutazione del “merito comparativo” dei candidati.
 

Contenuto sentenza

N. 01418/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00228/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 228 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
[#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] Camolese, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, Via [#OMISSIS#] Zima, 3; 
contro
Universita’ degli Studi di Bergamo, Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Brescia, Via S. [#OMISSIS#], 6; 
nei confronti di
[#OMISSIS#] Gherardi, [#OMISSIS#] Felleti; 
per
( A – ricorso principale)
l’annullamento, previa sospensione,
della nota 4 febbraio 2013 prot. n°2750/IV/9, comunicato il successivo 5 febbraio, con il quale il Responsabile dei servizi amministrativi generali e della gestione delle procedure concorsuali e selezioni presso l’Università di Bergamo ha respinto la domanda di immatricolazione al dottorato di ricerca in diritto pubblico e tributario nella dimensione europea presentata da [#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#];
del’atto 15 gennaio 2013 prot. n°996/IV/9, comunicato il successivo 17 gennaio, con il quale il medesimo Responsabile ha dato informazioni a [#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#] circa la possibilità di iscrizione a tale dottorato;
di ogni atto antecedente ovvero conseguente e comunque connesso, e in particolare:
dell’atto 14 dicembre 2012, comunicato il giorno stesso, con il quale il medesimo Responsabile ha comunicato la avvenuta approvazione della graduatoria;
del bando di concorso per l’ammissione al predetto dottorato, quanto all’art. 9 comma 11, secondo il quale il dottorando non può svolgere attività lavorativa a tempo pieno;
nonché per la condanna
delle amministrazioni intimate al risarcimento del danno;
( B – primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 18 maggio 2013)
l’annullamento, previa sospensione,
della nota 18 marzo 2013 prot. n°6475/IV/9, conosciuta in data imprecisata, con la quale il medesimo responsabile ha chiesto a [#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#] di comunicare la retribuzione eventualmente percepita dall’amministrazione di appartenenza;
nonché per la condanna
delle amministrazioni intimate al risarcimento del danno;
( C – secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 2 novembre 2013)
l’annullamento, previa sospensione,
della nota 16 settembre 2013 prot. n°21041/IV/9, conosciuta il 24 settembre 2013, con la quale il Responsabile dei servizi amministrativi generali e della gestione delle procedure concorsuali e selezioni presso l’Università di Bergamo ha respinto l’istanza presentata dalla ricorrente per l’erogazione della borsa di dottorato relativa al dottorato suddetto;
di ogni atto antecedente ovvero conseguente e comunque connesso;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi di Bergamo e di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2014 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
[#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#], odierna ricorrente, dipendente dell’Agenzia delle entrate lombarda presso l’Ufficio antifrode (fatto pacifico in causa, v. comunque doc. 13 ricorrente, copia nomina), è stata ammessa al corso di dottorato di ricerca in “diritto pubblico e tributario nella dimensione europea” ed è risultata assegnataria della relativa borsa di dottorato, essendo risultata seconda nella graduatoria formata all’esito della selezione indetta con il bando di cui al decreto del Rettore dell’Università degli studi di Bergamo 6 giugno 2012 prot. n°11322/IV/9 (doc. 4 ricorrente, copia bando; doc. 10 ricorrente, copia decreto di ammissione al corso e assegnazione borsa).
In ragione della sua qualifica di dipendente pubblico, [#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#] veniva quindi richiesta dall’amministrazione, per poter frequentare il corso, di farsi collocare in congedo straordinario (doc. 11 ricorrente, copia richiesta del 3 dicembre 2012), e nell’impossibilità di percorrere tale alternativa, puntualmente rappresentata all’Università (doc. 18 ricorrente, copia diniego trasmessa il 31 dicembre 2012), richiedeva e otteneva di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale; presentava quindi il 30 gennaio 2012 la domanda di immatricolazione, con allegato il citato contratto di lavoro trasformato (doc. 25 ricorrente, copia di essa; doc. 24 ricorrente, copia contratto a tempo parziale con lettera di trasmissione in pari data).
Peraltro, in data 5 febbraio 2013, [#OMISSIS#] Josefina [#OMISSIS#] riceveva il diniego di immatricolazione di cui alla nota 4 febbraio 2013 meglio indicata in epigrafe, motivato con il mancato “perfezionamento dell’immatricolazione… subordinato alla concessione del part- time al 50%” (doc. 1 ricorrente, copia nota citata); presentata senza esito il 17 febbraio 2013 una istanza di riesame, proponeva quindi avverso detto diniego ricorso principale, articolato in tre complesse censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti due motivi:
– con il primo di essi, corrispondente alla terza censura a p. 14 dell’atto, deduce incompetenza relativa, per esser stato l’atto sottoscritto dal responsabile di un ufficio amministrativo e non dal Rettore, a suo dire competente;
– con il secondo motivo, corrispondente alle prime due censure, deduce in sintesi violazione dell’art. 10 comma 9 del Regolamento di ateneo relativo ai dottorati di ricerca, anche in relazione all’art. 34 della Costituzione, in quanto,a suo dire, l’immatricolazione al corso di dottorato dopo ottenuto il tempo parziale di cui s’è detto, pur inferiore al 50% non sarebbe preclusa al dipendente pubblico, tanto che, a sua scienza, sarebbe stata accordata ad almeno due altri soggetti in posizione identica alla propria.
Nelle more, la ricorrente depositava peraltro, in data 15 marzo 2013, la nota 14 marzo 2013 prot. n°6292/IV/9 (doc. s.n. depositato alla data indicata, copia di essa), con cui veniva ammessa al corso in accoglimento dell’istanza di riesame; parallelamente, con memoria 4 aprile 2013, si costituiva l’amministrazione, deducendo in via preliminare la inammissibilità del ricorso in quanto rivolto contro il MIUR, la sua improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse quanto alla domanda di annullamento e nel merito la infondatezza della domanda risarcitoria.
Successivamente, con la nota 18 marzo 2013 pure meglio indicata in epigrafe, la ricorrente veniva richiesta, per poter percepire la borsa di studio, di documentare la retribuzione eventualmente percepita dall’amministrazione di appartenenza (doc. A ricorrente allegato a I ricorso per motivi aggiunti, copia nota), e tale atto impugnava con i primi motivi aggiunti, deducendo a sostegno due motivi:
– con il primo di essi, deduce propriamente violazione e falsa applicazione dell’art. 34 Cost., dell’art. 12 della l. 241/1990, nonché della l. 3 luglio 1998 n°210, del D.M. 30 aprile 1999 n°224, della l. 2 dicembre 1991 n°390, del D.P.C.M. 30 aprile 1997, del D.M. 9 aprile 2001 e del d. lgs. 29 marzo 2012 n°68, ovvero della complessiva normativa che disciplina l’assegnazione degli ausili economici agli studenti La ricorrente in sintesi contesta la tesi per cui la corresponsione della borsa di dottorato sarebbe subordinata al mancato superamento di dati limiti massimi di reddito, così come definiti dall’Indicatore di situazione economica equivalente universitario – ISEEU e dall’Indicatore di situazione patrimoniale economica equivalente universitario – ISPEEU, e quindi, in sostanza, riservata a dottorandi indigenti, al pari di qualunque altra borsa di studio. Ritiene invece che la borsa di dottorato non sia riconducibile al generale istituto delle borse di studio, ma vada attribuita a prescindere dal reddito personale ovvero familiare dell’interessato, unicamente “previa valutazione comparativa del merito” e secondo l’ordine di graduatoria, così come del resto previsto dal bando in questione (doc. 4 ricorrente, cit. art. 8 lettera A);
– con il secondo motivo, deduce poi eccesso di potere per disparità di trattamento, in quanto a suo dire solo nel caso suo e della sua collega di graduatoria [#OMISSIS#] l’Università avrebbe subordinato l’erogazione della borsa all’accertamento del rispetto dei parametri ISEEU e ISPEEU, mentre a tutti gli altri ammessi, anche negli anni precedenti, a tutti i vari corsi di dottorato non sarebbe stato chiesto di documentare alcunché e sarebbe stata pagata la borsa senza riguardo agli altri redditi percepiti.
All’esito, la ricorrente riceveva infine la nota 16 settembre 2013, che denega il pagamento della borsa di dottorato nei termini che seguono: “spiace comunicare che dall’esame della documentazione da lei prodotta con nota prot. n°20030/IV/9 del 2 settembre 2013, si evidenzia un superamento dei parametri ISEE e ISEEU previsti dalle vigenti norme in materia di diritto allo studio. Occorre infatti considerare che, in base all’interpretazione delle norme citate nel bando di concorso (D.P.C.M. 9 aprile 2001) fatta propria dall’amministrazione, la finalità della borsa di studio è quella di rendere effettivo il diritto allo studio di quei cittadini che, pur capaci e meritevoli, siano privi di mezzi” (doc. M ricorrente, copia atto). Avverso tale diniego, ha proposto quindi il secondo ricorso per motivi aggiunti, di contenuto identico al primo sopra riassunto.
Con ordinanza 5 dicembre 2013 n°610, la Sezione ha accolto la domanda cautelare ai soli fini di una sollecita definizione del merito, disponendo nelle more istruttoria nei confronti dell’Università, per stabilire quali fossero nei dettagli i criteri riferiti all’ISEEU ovvero ISPEEU presupposti dal provvedimento impugnato, se e quali provvedimenti generali fossero stati adottati dall’Università per ragguagliare la percezione della borsa di dottorato alla situazione economica dell’avente titolo nonché se e in quali altri casi della prassi si fosse fatta applicazione di tali criteri o di criteri consimili; l’Università ha depositato il 28 gennaio 2014 la relazione richiesta.
Con memoria 3 ottobre 2014, l’amministrazione ha articolato compiutamente le proprie difese:
– in via preliminare, ha chiesto declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso principale, per esser stata accordata, nei termini descritti, la immatricolazione;
– sempre in via preliminare, ha chiesto declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del primo ricorso per motivi aggiunti, perché superato dal successivo diniego;
– ancora in via preliminare, eccepisce il difetto di giurisdizione in favore della Autorità giudiziaria ordinaria – AGO, per essere a suo avviso la causa relativa al diritto soggettivo a percepire una borsa di studio, di cui la borsa di dottorato sarebbe un esempio;
– nel merito, chiede che il ricorso sia respinto, ribadendo la tesi per cui borsa di dottorato sarebbe assimilabile a tutte le altre borse di studio, già riassunta sopra.
Per parte sua, la ricorrente, con memoria 25 ottobre e replica 5 novembre 2014, ribadisce le proprie asserite ragioni.
La Sezione, all’udienza del giorno 26 novembre 2014, fissata così come sopra, tratteneva infine il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. In ordine logico, va scrutinata per prima l’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione, dedotta dalla difesa erariale nei termini di cui in epigrafe.
2. In materia di aiuti economici accordati dalla p.a., fra i quali all’evidenza rientra la borsa di studio per la quale è causa, è ben noto il criterio generale di riparto. Ricorre un diritto soggettivo, la cui tutela spetta all’A.G.O. allorquando l’aiuto è riconosciuto in via diretta dalla legge e alla p.a. è spetta soltanto il controllo in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti indicati dalla legge stessa ; ricorre invece un interesse legittimo, la cui tutela spetta al Giudice amministrativo, se la legge attribuisce alla p.a. il potere di accordare l’aiuto stesso previa valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti e previo apprezzamento discrezionale in ordine alla concessione, nonché all’entità e alle modalità di sua erogazione: così precisamente, fra le molte, Cass. S.U. 20 febbraio 2007 n°3848; lo stesso criterio, peraltro, è implicitamente sotteso dalla recente C.d.S. a.p. 29 gennaio 2014 n°6.
3. Nel caso di specie, pertanto, la giurisdizione spetterebbe a questo Giudice se la borsa di dottorato, così come sostiene la ricorrente, fosse attribuita per ciò solo allo studente ammesso al corso, perché in tal caso rappresenterebbe una delle conseguenze della sua valutazione, all’evidenza discrezionale, come studente idoneo; spetterebbe al Giudice ordinario se invece, così come sostiene la difesa erariale, la borsa di studio spettasse, fra gli studenti ammessi, solo a coloro i quali presentassero una data situazione reddituale: l’attribuzione della borsa sarebbe in tal caso sganciata da ogni discrezionalità.
4. Questo Giudice ritiene, lo si anticipa, che soluzione corretta sia la prima, e quindi ritiene la propria giurisdizione; le ragioni per cui ciò afferma, peraltro, sono inscindibili dalla valutazione del merito, e pertanto verranno esposte di seguito, nell’ambito della relativa trattazione.
5. Nell’ordine, va quindi scrutinata, e risulta fondata, l’altra eccezione preliminare, quella di improcedibilità del ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse pure proposta, come in narrativa, dalla difesa erariale,. Poiché la ricorrente, come è pacifico, ha ottenuto senza riserva alcuna, come pure detto in premesse, il bene della vita per il quale domandava tutela, ovvero la iscrizione al corso.
6. In proposito, occorre però considerare che a norma dell’art. 34 comma 3 del c.p.a., “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”, e verificare se ciò avvenga nel caso di specie. Ad avviso del Collegio la risposta è negativa, poiché la ricorrente, che ne aveva l’onere, non ha fornito alcuna concreta prova di danno che dalla ritardata ammissione le sarebbe derivato. Si deve quindi concludere per la reiezione della domanda risarcitoria di cui al ricorso principale a prescindere dalla legittimità o no del provvedimento parallelamente impugnato, per la mancanza di interesse ad accertarla e quindi, come detto, per la improcedibilità della domanda di annullamento.
7. Va allora scrutinata, e risulta anch’essa fondata, l’altra eccezione preliminare, quella di improcedibilità del primo ricorso per motivi aggiunti, sempre per sopravvenuta carenza di interesse, pure proposta, come in narrativa, dalla difesa erariale poiché il provvedimento impugnato, nominalmente di richiesta documentazione, sarebbe stato superato dal successivo diniego.
8. In proposito, è però necessaria una precisazione. La nota 18 marzo 2013 per cui è causa esprime, come risulta a sua lettura (doc. A ricorrente allegato al I ricorso per motivi aggiunti, cit.), un ordine di idee diverso da quello proprio del successivo atto 16 settembre 2013, impugnato col secondo ricorso per motivi aggiunti. Il primo atto, infatti, chiede alla ricorrente di comunicare la propria situazione retributiva quale dipendente pubblico, considerandola di per sé rilevante per corrispondere o no la borsa, a prescindere dagli importi in gioco; è invece il secondo provvedimento che introduce tale tematica (doc. M ricorrente, cit.), e afferma che in generale la borsa non può essere accordata se l’interessato, sia o non sia pubblico dipendente, supera determinati parametri di situazione economica.
9. E’ quindi evidente che, intervenuto il secondo provvedimento, nessuna utilità la ricorrente può trarre dall’annullamento del primo. Ciò è vero anche nel caso presente in cui, così come fatto nel ricorso principale, la ricorrente ha proposto una domanda risarcitoria. Anche in questo caso infatti, la ricorrente stessa non ha fornito alcuna concreta prova di danno che dal provvedimento le sarebbe derivato. Si deve quindi concludere per la reiezione anche della domanda risarcitoria di cui al primo ricorso per motivi aggiunti, anche qui a prescindere dalla legittimità o no del provvedimento parallelamente impugnato, per la mancanza di interesse ad accertarla e quindi, come detto, per la improcedibilità della relativa domanda di annullamento.
10. Ciò posto, e venendo al merito, il primo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti, fondato sull’illegittimità del diniego, risulta fondato ed assorbente. A fini di chiarezza, va riassunta, per quanto rilevante, l’attuale disciplina degli aiuti economici allo studio universitario, in base alla quale risulta più agevole comprendere le tesi contrapposte delle parti, cui s’è già accennato trattando di giurisdizione.
11. Norma fondamentale in materia è, come noto, l’art. 34 comma 3 della Costituzione, per cui “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. In dichiarata attuazione di tale precetto, è stata quindi emanata, e rimane di fatto in vigore per le ragioni che si diranno, la l. 2 dicembre 1991 n°390, recante “Norme sul diritto agli studi universitari”, la quale, per quanto qui rileva, prevede all’art. 8 che le Regioni, eventualmente anche assegnando i fondi alle Università, “determinano la quota dei fondi destinati agli interventi per il diritto agli studi universitari, da devolvere annualmente all’erogazione di borse di studio per gli studenti iscritti ai corsi di diploma e di laurea nel rispetto dei requisiti minimi stabiliti ai sensi dell’articolo 4 e secondo le procedure selettive di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c)”, ovvero con procedure selettive che tengano conto, con trattamento uniforme, del reddito degli interessati.
12. In attuazione della norma di legge citata, sono stati emanati il D.P.C.M. 30 aprile 1997, recante appunto “Uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, ai sensi dell’art. 4 della l. 2 dicembre 1991, n°390”, e il D.P.C.M. 9 aprile 2001, di identico contenuto e rubrica quasi uguale, i quali prevedono, sempre per quanto qui interessa, l’erogazione di borse di studio a studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi, requisito quest’ultimo da apprezzare “sulla base della natura e dell’ammontare del reddito, della situazione patrimoniale e dell’ampiezza del nucleo familiare” (art. 3 D.P.C.M. 30 aprile 1997) e in definitiva sulla base dell’ISEE (art. 5 D.P.C.M. 9 aprile 2001).
13. Si ricorda poi per completezza che il recente d. lgs. 29 marzo 2012 n°68, all’art. 24 ,ha abrogato la l. 390/1990; ha poi nuovamente previsto all’art. 7 in via generale l’istituto della borsa di studio da attribuire in via concorsuale agli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi, in termini identici a quanto previsto dalla legge abrogata e descritto sopra; allo stesso art. 7 ha però demandato la propria attuazione a successivi regolamenti allo stato non emanati, lasciando quindi la materia ancora soggetta alle norme, pure sopra descritte, fondate appunto ancora sulla l. 390/1991.
14. La borsa di dottorato, per parte sua, è disciplinata da norme formalmente distinte, ovvero dall’art. 4 della l. 3 luglio 1998 n°210, che demanda al comma 5 ad appositi decreti del Rettore di stabilire “il numero e l’ammontare delle borse di studio da assegnare e dei contratti di apprendistato di cui all’articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n°276, e successive modificazioni, da stipulare, previa valutazione comparativa del merito”, precisa allo stesso comma che “In caso di parità di merito prevarrà la valutazione della situazione economica determinata” e al comma 3 che a tali borse “si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6, commi 6 e 7, della legge 30 novembre 1989 n°398”, ovvero, in sintesi, l’esenzione fiscale e la possibilità, per il beneficiario dipendente pubblico, di collocarsi in aspettativa non retribuita.
15. Completa il quadro l’art. 7 del regolamento attuativo, D.M. 30 aprile 1999 n°224, che per le borse in questione ribadisce la competenza dell’Università ed il criterio della “valutazione comparativa del merito… secondo l’ordine definito nella relativa graduatoria”, soggiungendo che solo “a parità di merito prevale la valutazione della situazione economica determinata”.
16. A fronte del descritto quadro normativo, la tesi dell’Università, sostenuta dalla difesa erariale, è che la borsa di dottorato rappresenterebbe pur sempre una specie particolare dell’ampio genere delle borse di studio di cui alla l. 390/1991, e quindi per fruirne si dovrebbe soddisfare un duplice ordine di requisiti. In primo luogo, si dovrebbe riuscire, come è ovvio, vincitori del concorso per il dottorato, collocandosi in una posizione di graduatoria cui viene riconosciuta la possibilità di fruire della borsa. In secondo luogo, occorrerebbe dimostrare in concreto di rientrare nei parametri ISEE fissati ai sensi della l. 390/1991, ovvero di essere uno studente privo di mezzi.
17. Opposta è la tesi della ricorrente, secondo la quale la borsa di dottorato sarebbe un istituto a sé stante, fruibile dal vincitore del relativo concorso a prescindere dalla propria preesistente situazione economica.
18. Il Collegio ritiene, per le ragioni che seguono, che corretta sia la seconda tesi, della non soggezione della borsa di dottorato ai requisiti di situazione economica previsti in generale per le borse di studio, e ciò per ragioni sia letterali sia sistematiche.
19. In primo luogo, non va condivisa la tesi dell’Avvocatura, per cui il citato comma 3 dell’art. 34 Cost. vieterebbe a priori qualsiasi aiuto economico a studenti capaci e meritevoli, che non fossero ad un tempo privi di mezzi. In proposito, si nota subito che la norma riconosce il diritto all’istruzione superiore anzitutto ai “capaci e meritevoli”, quindi senza ulteriori qualificazioni, aggiunge poi come precisazione che il diritto a costoro spetta “anche”, e quindi non “solo”, se privi di mezzi economici; consente quindi provvidenze volte ad incentivare il merito in quanto tale. Si osserva che ciò risponde anche per il senso comune all’interesse pubblico, non essendo certo impossibile che soggetti intellettualmente dotati e non bisognosi preferiscano, ad una valorizzazione accademica del proprio talento, altre strade che portano a più immediati guadagni.
20. In secondo luogo, va nel senso visto anche quanto emerge da una attenta lettura delle norme regolamentari sopra citate, relative alle borse di studio in generale: tanto il D.P.C.M. 30 aprile 1997 all’art. 10 quanto il D.P.C.M. 9 aprile 2001 al’art. 12 prevedono che le Università, a fianco delle borse erogate dalle Regioni, possano prevederne di proprie, e in proposito distinguono due categorie: le già note borse destinate a “coprire i costi di mantenimento agli studi degli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi” nonché “altre borse di studio con specifiche e diverse finalità rispetto a quelle indicate al comma 1, anche con l’obiettivo di premiare studenti particolarmente meritevoli”; consentono quindi, in una frase, di premiare il merito a prescindere dal bisogno.
21. Sull’altro versante, la normativa in tema di borse di dottorato è anzitutto costruita come un sistema in sé concluso, che non si presta ad integrazioni da parte della disciplina generale. In tal senso è la formula già riportata, propria della legge e ripetuta dal regolamento, per cui la borsa di dottorato si attribuisce “previa valutazione comparativa del merito” e solo a parità di merito guardando la situazione economica.
22. In secondo luogo, l’art. 4 comma 5 citato prevede che, in alternativa alla borsa di studio, il dottorato di ricerca possa essere sostenuto con la stipulazione di uno speciale contratto di apprendistato: è inusuale, se pure non teoricamente impossibile, che un contratto di lavoro venga assegnato in base ad un apprezzamento della situazione economica.
23. In terzo luogo, lo stesso art. 4, come si è detto, richiama “le disposizioni di cui all’articolo 6, commi 6 e 7, della legge 30 novembre 1989 n°398”, ovvero la legge generale sulle borse di studio universitarie. Di detto articolo 6, richiama però, come si è visto, i soli commi concernenti il regime fiscale e l’aspettativa dei pubblici dipendenti, non già il comma 4, in tema di determinazione, con decreti applicativi, dei “limiti e … natura del reddito personale complessivo” richiesti “per poterne usufruire”. Ragionevole quindi ritenere che l’esclusione sia voluta, anche alla luce dell’argomento storico sistematico di cui subito.
24. La difesa della ricorrente ha infatti citato (memoria 25 ottobre 2014, non contestata nei fatti storici) estratti dei lavori parlamentari concernenti la l. 210/1998, in cui si disse in modo espresso che le borse di dottorato si volevano attribuite solo in base a criteri di merito: nel relativo dibattito, si spiegò che si intendeva rimediare, per quanto possibile, al sistema precedente, in cui le borse di dottorato stesse, di importo oltretutto modesto, non potevano essere fruite da chi fosse già titolare di un minimo reddito.
25. Ciò aveva portato, come deve ritenersi notorio, all’insuccesso dell’istituto, con molti abbandoni di dottorati già iniziati, e quindi con un pregiudizio all’interesse pubblico allo sviluppo della ricerca scientifica. E’ del resto di immediata comprensione che un dottorato, indirizzato per sua natura a soggetti che per età dovrebbero essere economicamente indipendenti, risulta più attraente se consente di introitare un sufficiente incentivo economico in aggiunta a quanto già si guadagna, come del resto avvenuto fin da ora nella prassi seguita dall’Università di Bergamo (il dato storico è incontestato in causa).
26. Quanto sin qui esposto vale a dimostrare che il rispetto dei parametri ISEE o equivalenti non è imposto dalla legge per fruire della borsa di dottorato; ai fini di causa, è però necessaria una considerazione ulteriore. La difesa erariale ha infatti sostenuto (v. ad esempio memoria 3 ottobre 2014 p. 10 § e) che tali parametri si applicherebbero ugualmente al caso di specie in virtù di una previsione in tal senso del bando, che in tale ordine di idee si fonderebbe sul citato art. 4 comma 5 della l. 210/1998, che attribuisce all’Università uno spazio di autonomia per determinare con propri regolamenti, decreti del Rettore, il regime della borsa.
27. L’assunto, peraltro, nel caso di specie è infondato in fatto. In primo luogo (v. relazione 28 gennaio 2014), l’Università, espressamente richiesta dal Collegio di dare chiarimenti sul punto, ha confermato di non avere adottato “nessun provvedimento generale” per correlare il pagamento della borsa di dottorato alla situazione economica dell’avente diritto. In secondo luogo, il bando (doc. 4 ricorrente, cit.) contiene due previsioni di borsa di studio ben distinte: all’art. 8 lettera a), la borsa di dottorato di che trattasi, da attribuire “previa valutazione comparativa del merito”, con formula che riproduce quella normativa sopra illustrata; allo stesso art. 8 lettera b) invece la “borsa di studio ex legge 3910/91”, da attribuire, come pure già spiegato, in base alla situazione economica.
28. Tale previsione del bando, secondo [#OMISSIS#] giurisprudenza, va interpretata secondo buona fede, ovvero nei soli significati chiaramente desumibili dai vocaboli usati- così C.d.S. sez. V 17 giugno 2014 n°3093- e secondo quanto il destinatario può secondo ragione intendere – come ritenuto da C.d.S. sez. III 2 settembre 2013 n°4364 e sez. V 16 gennaio 2013 n°238, del resto in conformità col principio di buon andamento, che mal s’accorda con atteggiamenti poco chiari dell’amministrazione. Di conseguenza, non può non intendersi nel senso di una distinzione fra i due tipi di aiuto.
29. A tale conclusione porta poi, come accennato, anche la [#OMISSIS#] prassi dell’Università, cui si è accennato, che è stata allegata dalla ricorrente (memoria 25 ottobre 2014) e non contestata dalla difesa erariale, per cui mai in precedenza la borsa di dottorato era stata ragguagliata alla situazione economica.
30. Il motivo va quindi accolto, e riveste carattere assorbente, dato che porta come conseguenza che la borsa sia dovuta, e ciò rappresenta l’intero bene della vita di cui la ricorrente ha chiesto tutela. Sono però necessarie due precisazioni.
31. In primo luogo, quanto fin qui esposto dimostra e giustifica l’affermazione di cui al precedente § 4, nel senso della giurisdizione di questo Giudice, dato che è in questione il corretto esercizio di un potere autoritativo di valutazione del “merito comparativo” dei candidati. In secondo luogo, la corresponsione della borsa è effetto conformativo dell’annullamento della nota di cui al dispositivo, e quindi non richiede una distinta statuizione di condanna.
32. La novità e particolarità della questione, sulla quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese, al pari della soccombenza reciproca.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
a) dichiara improcedibile il ricorso principale quanto alla domanda di annullamento e lo respinge quanto alla domanda di condanna al risarcimento;
b) dichiara improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti quanto alla domanda di annullamento e lo respinge quanto alla domanda di condanna al risarcimento;
c) accoglie il secondo ricorso per motivi aggiunti e per l’effetto annulla il provvedimento 16 settembre 2013 prot. n°21041/IV/9 del Responsabile dei servizi amministrativi generali e della gestione delle procedure concorsuali e selezioni presso l’Università di Bergamo;
d) compensa per intero fra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
[#OMISSIS#] Mosconi, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)