TAR Lazio, Sez. III ter, 8 aprile 2024, n. 6812

Sulla legittimità della revoca dell’assegno ad personam e della conseguente ripetizione delle somme indebitamente corrisposte

Data Documento: 2024-04-08
Autorità Emanante: TAR Lazio
Area: Giurisprudenza
Massima

Il recupero di erogazioni in generale, disposte erroneamente o in assenza del presupposto, è attuato nell’ambito di un doveroso esercizio di un potere vincolato, senza che ciò determini la violazione dei principi di tipicità e nominatività della funzione amministrativa, avente a oggetto la rilevazione della ricorrenza dei presupposti normativi richiesti per elidere ex tunc il beneficio assentito senza titolo.

Contenuto sentenza

06812/2024 REG.PROV.COLL.

13470/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13470 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

– della nota prot. -OMISSIS- del 23/6/2023, di richiesta di pagamento e costituzione in mora ex art. 1219 c.c., conosciuta in data 27/6/2023.

– di ogni altro provvedimento ad esso presupposto, conseguente e, comunque, connesso.

In particolare:

– il Decreto Rettorale-OMISSIS- del 31/5/2022, prot. -OMISSIS- dell’8/6/2022, (non notificato dall’Amministrazione resistente e conosciuto, nel suo contento integrale, solo unitamente agli altri provvedimenti impugnati), con il quale al ricorrente è stato revocato l’assegno personale, con conseguente ripetizione delle somme corrisposte dal 1/2/2014 alla data del predetto provvedimento, al netto delle ritenute previdenziali e assistenziali effettuate sui predetti emolumenti, ed è stato disposto il collocamento a riposo, per limiti di età, a decorrere dal 01/11/2022;

– il cedolino datato 23/1/2023, recante la dicitura: retribuzione mese di gennaio 2023.

per la condanna

dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, previo accertamento e dichiarazione del diritto del ricorrente alla conservazione dell’assegno ad personam, alla restituzione di tutti gli emolumenti stipendiali e contributivi dovuti ed eventualmente trattenuti dall’Amministrazione resistente ai sensi e per gli effetti degli atti impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 marzo 2024 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierno ricorrente, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, collocato in pensione dal 1° novembre 2022, impugna i provvedimenti con cui l’Ateneo ha disposto la ripetizione, a far data dal 1° febbraio 2014, delle somme già percepite dallo stesso a titolo di assegno ad personamai sensi dell’art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e agisce per il riconoscimento del suo diritto all’assegno ad personamanche dopo l’entrata in vigore della l. n. 147/2013, che ne ha disposto abrogazione; chiede, altresì, previo accertamento e dichiarazione del proprio diritto alla conservazione dell’assegno ad personam, la condanna dell’Amministrazione alla restituzione di tutti gli emolumenti stipendiali e contributivi dovuti ed eventualmente trattenuti dall’Amministrazione resistente, ai sensi e per gli effetti degli atti impugnati.

2. Risulta (doc. 4 dell’Ateneo) che il ricorrente ha ottenuto l’attribuzione dell’assegno in questione al momento della sua assunzione in servizio quale professore associato, a decorrere dal 1° novembre 2006, in virtù del trattamento retributivo già goduto in qualità di dirigente medico del Servizio Sanitario Nazionale, prima della succitata nomina a professore associato.

Dalla documentazione versata in atti dall’Ateneo, emerge altresì che il ricorrente ha beneficiato del predetto assegno, senza soluzione di continuità, anche dopo l’abrogazione dell’art. 202 del d.P.R. n. 3/57 ad opera dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147/2013, avendo l’Università ritenuto di confermare, nel 2014, il suddetto trattamento economico sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, con parere -OMISSIS- del 9 giugno 2014, in merito alle modalità applicative dell’art. 1, commi 458 e 459, della legge n. 147/2013 (doc. 4 dell’Ateneo).

2.1. Sennonché, con il decreto rettorale in epigrafe, -OMISSIS- dell’8 giugno 2022 (doc.1 Ateneo), l’Università ha revocato il predetto assegno a decorrere dal 1° febbraio 2014, ha individuato la nuova retribuzione spettante e disposto la ripetizione delle somme corrisposte a tale titolo e il relativo conguaglio, nonché l’avvio del procedimento diretto a richiedere il rimborso delle ritenute previdenziali e assistenziali, ferme le somme percepite dal ricorrente a titolo di assegno ad personam fino al 31 gennaio 2014.

L’Ateneo ha poi richiesto, in data 23 giugno 2023, la restituzione della somma totale di € 23.414,80 al predetto titolo (doc. 3 Ateneo).

2.2. Quale motivazione della revoca, a fronte dell’iniziale ritenuta inapplicabilità della l. 147/2013, abrogativa dell’art. 202 del d.P.R. n. 3/57, alla retribuzione del ricorrente, in conseguenza della sua assunzione in data anteriore all’entrata in vigore della l. 147/2013, il precedente giurisprudenziale reso dal Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 6620 del 2 ottobre 2019 ha determinato una diversa e corretta interpretazione, ponendo in evidenza che l’efficacia abrogativa del comma 458 della Legge n. 147/2013 è complessiva, poiché colpisce in [#OMISSIS#] l’art. 202 del DPR 3/1957 e non ammette né ultrattività, né tampoco regimi transitori, che in caso contrario snaturerebbero l’abolizione immediata d’ogni e qualunque effetto nocivo perdurante sui conti pubblici e che le disposizioni di cui all’art. 1, commi 458 e 459, della Legge n. 147/2013 hanno in comune la stessa efficacia retroattiva, pur se del peculiare tipo della retroattività c.d. impropria, trovando pertanto applicazione solo relativamente ai ratei stipendiali corrisposti in data successiva alla loro entrata in vigore.

3. Ritenendo la condotta dell’Università contraria ai principi di certezza delle posizioni giuridiche acquisite e di buona fede del privato, il ricorrente ha proposto il presente ricorso, deducendo, in particolare, i seguenti motivi di diritto:

I – “Violazione dei principi di legge in materia di recupero degli emolumenti stipendiali ritenuti, dall’Amministrazione, erroneamente corrisposti. Sussistenza della percezione in buona fede degli emolumenti stipendiati oggetto di recupero. Accertamento e dichiarazione del diritto del ricorrente agli emolumenti di cui al Decreto Rettorale impugnato. Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto dei presupposti, sviamento ed ingiustizia manifesta”;

II – “Violazione di legge: art. 1, commi 458 e 459, L. n. 147/2013. Violazione dei principi di legge in materia di recupero degli emolumenti stipendiali ritenuti, dall’Amministrazione, erroneamente corrisposti. Sussistenza della percezione in buona fede degli emolumenti stipendiati oggetto di recupero. Accertamento e dichiarazione del diritto del ricorrente agli emolumenti di cui al Decreto Rettorale impugnato. Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto dei presupposti, sviamento ed ingiustizia manifesta”;

III – “Violazione di legge: art. 7, L. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto dei presupposti e sviamento”.

3.1. Il ricorrente propone come detto domanda di restituzione di tutte le somme medio tempore non corrisposte/trattenute o versate dal ricorrente all’Università e inoltre domanda cautelare di sospensione degli atti impugnati.

3.2. Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi Roma La Sapienza a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, per chiedere il rigetto del ricorso.

3.3. All’esito della camera di consiglio del 9 novembre 2023, il Collegio ha rigettato la domanda cautelare, disposto incombenti istruttori e fissato l’udienza per la trattazione del merito del 27 marzo 2024, con l’ordinanza di seguito trascritta: “Ritenuto, preliminarmente, che la questione di tardività del ricorso non sia esaminabile, in quanto proposta all’interno di una relazione documentale allegata dall’Amministrazione in giudizio;

Ritenuto, inoltre, che la domanda cautelare non sia caratterizzata dalla descrizione e dalla prova sufficiente di elementi di periculum in mora, nelle more del giudizio di merito, a fronte anche dell’entità della somma oggetto di ripetizione;

Ritenuto che, in vista della trattazione del merito del ricorso, sia necessario previamente disporre incombenti istruttori, occorrenti per una compiuta delibazione in ordine a profili rilevanti ai fini del decidere, avuto particolare riguardo alle concrete condizioni economico-patrimoniali e personali del ricorrente, al fine di valutare la proporzionalità dell’interferenza conseguente alla disposta richiesta di restituzione delle somme corrisposte a titolo di assegno ad personam;

a tal fine, il ricorrente viene onerato dell’obbligo di depositare al fascicolo di causa, nel termine di 40 (quaranta) giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, la seguente documentazione:

– l’ultima dichiarazione dei redditi se redatta (modello 730, ecc.) o, se non presentata, ultima Certificazione Unica;

– dichiarazione ISEE se esistente;

– se il ricorrente convive con il coniuge e/o con altri familiari, autocertificazione del reddito come risultante dalla somma dei redditi dell’intero nucleo familiare relativi al precedente periodo di imposta rispetto alla data della dichiarazione;

– indicazione di eventuali redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, non oggetto di dichiarazione;

– autocertificazione, con assunzione della relativa responsabilità per quanto dichiarato ed allegazione di eventuali documenti a comprova, circa la sussistenza di circostanze particolari, connesse ad esigenze primarie di vita, ritenute utili ed idonee a comprovare il carattere sproporzionato dell’obbligo restitutorio in relazione alle proprie condizioni patrimoniali e reddituali”.

3.4. In vista dell’udienza di merito del 27 marzo 2024, parte ricorrente ha depositato una memoria e ha inoltre depositato varia documentazione di tipo economico e reddituale, in ottemperanza all’ordinanza citata.

3.5. Alla predetta udienza di merito, la causa è stata infine trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, ritenendo il Collegio di prescindere dalla questione di tardività prospettata nei documenti depositati dall’Ateneo.

2. Il presente giudizio verte sulla legittimità della richiesta di ripetizione delle somme attribuite al ricorrente a titolo di assegno ad personam, ai sensi dell’art. 202 del d.P.R. n. 3/57, dopo l’abrogazione di detta norma ad opera della legge n. 147/2013, a fronte dell’affidamento maturato dal primo nella definitività della percezione delle stesse.

Sull’argomento, questo TAR ha emesso alcune recenti pronunce, dalle cui conclusioni, esaminate le odierne censure, non sussistono ragioni per discostarsi (cfr. TAR Lazio, III-ter, 15042 dell’11 ottobre 2023; 14990 e 14988 del 10 ottobre 2023; 14427 del 29 settembre 2023; 13798 del 14 settembre 2023).

2.1. Si premette che la disciplina dei c.d. passaggi di carriera era dettata dall’art. 202 del d.P.R. n. 3/57, secondo cui “nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica”, e dall’art. art. 3, comma 57, della legge n. 537/1993, in base al quale “nei casi di passaggio di carriera di cui all’articolo 202 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione”.

2.2. Sulla disciplina è poi intervenuto l’art. 1, comma 458, della legge n. 147/2013 il quale, nell’abrogare gli articoli sopra riportati, ha altresì disposto che “ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”; mentre il successivo comma 459 ha stabilito che “le amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici, a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della presente legge (i.e. dal 1° febbraio 2014, n.d.r.), in attuazione di quanto disposto dal comma 458, secondo periodo, del presente articolo e dall’articolo 8, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, come modificato dall’articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 13”.

2.3. In tale quadro, si inserisce quindi la pretesa restitutoria avanzata dall’Università resistente, la quale ha continuato, dopo il 1° febbraio 2014, ad erogare al ricorrente l’emolumento in questione, fino a revocarlo nel giugno 2022.

3. Considerato il predetto quadro normativo di riferimento, le censure del ricorso, tutte in vario modo vertenti sulla inapplicabilità alla fattispecie della legge 147/2013 e connesse in modo tale da poter essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

3.1. Al riguardo deve osservarsi, da un lato, che la “retroattività impropria” che connota la disposizione in questione, che si realizza quando la norma sopravvenuta regola diversamente i tratti non esauriti dei rapporti di durata, esclude che la stessa possa incidere sugli emolumenti già validamente corrisposti sotto la vigenza della precedente normativa, poi abrogata (in tal senso, Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 10/2022; v. pure questa Sezione, sentenza n. 4186/2023, per ulteriori considerazioni sulla conformità della previsione all’art. 3 Cost.); dall’altro lato, va aggiunto che la capacità di incidere sugli assegni personali già corrisposti ed erogati dopo il 1° febbraio 2014 va semmai ricondotta alla portata dell’art. 2033 c.c., norma che ha superato il vaglio di costituzionalità con la recente pronuncia n. 8 del 2023 della Corte costituzionale, anche con riguardo ai profili di affidamento oggi in rilievo.

3.2. Né il fatto che il secondo periodo del comma 458 dell’art. 1 cit. (“Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”) riguardi non già i dipendenti pubblici in caso di passaggio di carriera presso la stessa Amministrazione o un’altra, come il ricorrente, bensì esclusivamente quei dipendenti pubblici che, dopo aver rivestito ruoli o incarichi temporanei, siano rientrati nel ruolo presso l’Amministrazione di appartenenza, può comportare che il ricorrente non possa essere destinatario della pretesa restitutoria azionata.

3.3. In particolare, deve negarsi una lettura sistematica dei commi 458 e 459 del citato articolo 1, in correlazione all’art.8, comma 5, della l. 370/1999 e alla stessa pronuncia dell’Adunanza Plenaria 10/2022, che deporrebbe nel senso di dover considerare consolidati i diritti quesiti riferibili agli assegni già riconosciuti anche dopo il 2014 e fino al loro completo riassorbimento, per i casi di passaggi di carriera come quello in esame.

3.4. Siffatto ragionamento è infondato perché trae da una determinata premessa, la regolazione di due fattispecie nelle norme citate, il passaggio di carriera e il rientro nel ruolo di provenienza da altri incarichi o ruoli, una conseguenza indebitamente limitante della normale efficacia della legge nel tempo ex art. 11 delle preleggi al codice civile (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”), nel senso che, pur essendo abrogato l’assegno ad personam a partire da una determinata data, il dipendente pubblico che ne sia titolare, e che sia autore di un passaggio di carriera, dovrebbe continuare a fruirne per il futuro nonostante l’abrogazione e in assenza di una espressa disposizione, ad esempio di una disciplina transitoria, regolatoria dell’efficacia della legge nel tempo in senso favorevole al ricorrente.

3.5. Prevale in ogni caso, sulla citata lettura interpretativa, l’art. 2033 c.c. e il dovere pubblico di ripetere somme indebitamente corrisposte, una volta che il titolo giuridico sia ex lege venuto meno.

3.6. Occorre poi osservare che il recupero di erogazioni in generale, disposte erroneamente o in assenza del presupposto, è attuato nell’ambito di un doveroso esercizio di un potere vincolato, senza che ciò determini la violazione dei principi di tipicità e nominatività della funzione amministrativa, avente a oggetto la rilevazione della ricorrenza dei presupposti normativi richiesti per elidere ex tunc il beneficio assentito senza titolo.

3.7. In tal caso, l’attuazione dell’obbligo di ripetizione dell’indebito si fonda sul dato oggettivo della violazione della normativa di regolazione del settore; non sussistono, per l’effetto, i dedotti difetto di motivazione e carenza dei presupposti.

3.8. Emerge quindi la preminenza dell’esigenza per la P.A. di ripetere erogazioni indebite di pubblico denaro senza che vi occorra una motivazione specifica sulle eventuali ragioni d’interesse pubblico concreto e attuale o di comparazione con quello del debitore, anche quando questi sia in buona fede, dato, questo, che assume rilievo al più nel quomodo del recupero, non nell’an (cfr. Cons. Stato, VI, 30 maggio 2017 n. 2614; id., 23 novembre 2018 n. 6659).

3.9. Parimenti, va disattesa la censura relativa all’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca, in considerazione della natura di atto dovuto dell’azione di recupero, derivante, come sopra visto, dall’art. 1, comma 459 della legge n. 147/2013.

4. Non può neanche dirsi che la richiesta di restituzione sia illegittima perché violi la buona fede del ricorrente, come da questi più volte sostenuto.

4.1. In materia di ripetizione di indebito nel pubblico impiego, come accennato, la giurisprudenza ha da sempre affermato la regola generale dell’art. 2033 cc. a fronte dell’obbligo dell’Amministrazione di recuperare le somme indebitamente versate, escludendo che la semplice buona fede del beneficiario legittimi, di per sé, una soluti retentio del trattamento economico così ricevuto, potendo piuttosto rilevare ai fini del temperamento dell’onerosità del recupero operato dall’Amministrazione.

4.2. Sebbene non siano mancate, anche di recente, pronunce del giudice amministrativo che hanno valorizzato le specifiche connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, e hanno escluso volta per volta la ripetizione (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione Seconda, sentenza n. 5014/2021 e giur. ivi richiamata; idem, sentenza n. 1373/2022; TAR Sicilia, Palermo, sentenza n. 2087/2023), non può per ciò solo affermarsi la vigenza di un generale principio di irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte a fronte dell’affidamento maturato dal percettore, né lo stesso è stato sancito dalla giurisprudenza della CEDU, in particolare con la sentenza Casarin, n. 4893 dell’11 febbraio 2021.

4.3. Con questa pronuncia, la Corte di Strasburgo, una volta specificati i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo all’accipiens (i.e., pagamento effettuato dall’amministrazione spontaneamente ovvero su domanda del dipendente in buona fede; apparenza del titolo del pagamento; durata nel tempo dei versamenti; assenza della riserva di ripetizione; buona fede del ricevente), ha piuttosto stigmatizzato la sproporzione dell’interferenza rispetto a detto affidamento, evidenziandone le ulteriori condizioni, quali l’esclusiva imputabilità all’amministrazione dell’errore del pagamento, la natura del versamento indebito quale corrispettivo dell’attività lavorativa ordinaria e la situazione economica del ricevente al momento della domanda di rimborso, pur sempre riconoscendo la legalità dell’ingerenza e la legittimità del suo scopo.

4.4. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU alla luce delle particolari circostanze del caso concreto e delle condizioni di fragilità economico personali dell’accipiens, ritenendo che la pretesa dell’amministrazione avesse turbato l’equilibrio che deve sussistere tra le esigenze dell’interesse pubblico generale, da un lato, e quelle della protezione del diritto dell’individuo al rispetto della sua proprietà, dall’altro.

4.5. In altri termini, come ben evidenziato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 8 del 2023, la pur doverosa considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali non impone di “generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione”.

4.6. La stessa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c., in base al quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato, sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. add. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, ha respinto la questione in ragione del quadro di tutele offerte dall’ordinamento interno al legittimo affidamento.

4.7. Il Giudice delle leggi ha, in particolare, evidenziato il ruolo della clausola della buona fede, che impone in primo luogo al creditore di adeguare, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato, sicché “la pretesa si dimostra dunque inesigibile fintantoché non sia richiesta con modalità che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva”; inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens che “possono immediatamente palesare un impatto lesivo della prestazione restitutoria sulle condizioni di vita dello stesso”, si può giustificare un’ipotesi di inesigibilità temporanea, fino a ritenere “giustificato anche un adempimento parziale, che solo in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell’importo dovuto” quando le particolari condizioni personali del debitore siano “correlate a diritti inviolabili”, fino a riconoscere, nell’ipotesi di una lesione dell’affidamento, una possibile tutela risarcitoria nelle forme della responsabilità precontrattuale “sempre che ricorrano gli ulteriori presupposti applicativi del medesimo illecito”.

4.8. Ne deriva che, diversamente dall’assunto del ricorrente, la proporzionalità dell’interferenza non può prescindere dalla situazione economica del ricorrente e può valutarsi con riferimento al quomodo dell’obbligazione restitutoria tenendo conto proprio delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato, potendosi solo in presenza di “particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili”, giungere all’inesigibilità della prestazione.

5. Ad avviso del Collegio quindi, la semplice sovrapponibilità, in punto di fatto, della vicenda esaminata dalla CEDU con quella oggetto del presente scrutinio non comporta di per sé l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, dovendosi invece verificare la ricorrenza nella specie di particolari condizioni del ricorrente nei termini sopra visti.

5.1. A tal fine, il Collegio, nel rigettare la domanda cautelare, ha pertanto disposto un’istruttoria sulle condizioni economico-patrimoniali e personali della parte, la quale in riscontro ha prodotto varia documentazione inerenti redditi e spese personali del ricorrente.

5.2. Dall’esame della predetta documentazione, non risultano sussistere condizioni economico-patrimoniali (es. totale assenza di reddito del coniuge) o personali (es. particolare stato di salute), né diritti inviolabili che rischino di essere compromessi, che potrebbero giustificare l’inesigibilità della pretesa restitutoria, non risultando questa oltremodo sproporzionata ed onerosa per il ricorrente, in violazione dell’art. 1 Prot. 1 CEDU, come invece censurato.

5.3. Segnatamente, per come riepilogato dal ricorrente nella memoria di merito, i documenti prodotti evidenziano un suo reddito netto, per l’anno 2023, di € 75.932,20.

Il dato, per come precisato dal ricorrente, deve essere depurato di quanto percepito a titolo di arretrati, per l’importo netto di € 10.517,61.

Per cui il reddito annuo, tipico, del ricorrente ammonta ad € 65.414,59; la circostanza che sul predetto reddito disponibile incidano talune ordinarie spese fisse, riducendosi in concreto la disponibilità del reddito, non arriva a implicare particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, che sole potrebbero comportare l’inesigibilità della restituzione o la necessità di una rimodulazione, nel senso sopra detto.

Né il ricorrente, al di là di produrre e indicare i predetti dati economici, ha comunque dimostrato in modo specifico una concreta e significativa interferenza sui propri diritti inviolabili dovuta alla prospettata azione di recupero, nel senso sopra precisato.

Né, ancora, è esaminabile in termini di vera e propria domanda giudiziale l’osservazione contenuta nella memoria di merito, secondo cui “Ferme restando le considerazioni esposte nei motivi di ricorso, solo in via gradata, si evidenzia la possibilità di un rimborso rateale, ma con ratei non superiori ad € 250,00 mensili”.

6. Per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato.

In considerazione della particolarità della vicenda e della natura degli interessi coinvolti, le spese di lite sono compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente

OMISSIS, Referendario, Estensore

OMISSIS, Referendario

L’Estensore OMISSIS

Il Presidente OMISSIS

Pubblicato in data 8 aprile 2024